Empoli e la sua nuova mostra 19 Novembre 2025 – Edito in: Parola d'autore – Autore: Maria Cecilia Del Freo
Intervista agli ideatori e curatori della mostra “Provincia Novecento. Arte a Empoli 1925-1960”: Belinda Bitossi, Marco Campigli, Cristina Gelli, David Parri.

Quali sono gli obiettivi della mostra e quali ricerche preliminari sono state necessarie?
Quando abbiamo cominciato a pensare a una mostra sugli artisti empolesi del primo Novecento non sapevamo bene a cosa stavamo andando incontro. Certo, avevamo l’idea di una struttura di base, e c’era chi tra noi già si era occupato di questi argomenti, ma non immaginavamo di dover fare un lavoro così impegnativo per scovare, letteralmente, la maggior parte delle opere che poi sono state esposte. È stato necessario un lavoro capillare, caparbio, al limite della sfrontatezza, che ci ha portato prima a spargere la voce, a chiedere senza riserve a chi poteva saperne qualcosa, per arrivare addirittura a suonare i campanelli delle case in cui speravamo di trovare le opere che stavamo cercando. Un lavoro ostinato, talvolta disperante, ma più spesso emozionante e diremmo quasi creativo, quando la porta di un privato si apriva rivelandoci che la strada percorsa era stata quella giusta. A parte la sorpresa iniziale, dobbiamo dire che siamo stati sempre ricevuti con estrema cortesia e disponibilità. E proprio ciò, proprio l’incontro con le persone, e la curiosità da loro mostrata nei confronti delle ragioni della nostra visita, confermava in noi l’idea che questo tipo di mostra andava fatta: per raccontare una storia, per dare un senso a quei frammenti di essa che finivano per essere ormai muti testimoni appesi alle pareti delle case, per ricostruire le vicende di un gruppo di ragazzi ed evocare il mondo della provincia dal quale essi provenivano; cercare, insomma, di suscitare sentimenti simili a quelli che noi provavamo via via che queste vicende si facevano più chiare e che si impadroniva di noi l’idea di un coinvolgimento che fosse anche esperienza emotiva per tutti i futuri visitatori della mostra. Oltre a ciò, vorremmo che fosse un invito ad andare oltre quello che abbiamo fatto, sia per quanto riguarda la ricognizione delle opere, sia per ciò che sappiamo della biografia dei vari artisti: vorremmo che la mostra riesca ad aprire nuove strade alla ricerca per le generazioni future.
Come è stato concepito il catalogo che accompagna la mostra?
Il catalogo è stato scritto interamente dai quattro curatori. È stato scelto di non aggiungere schede per ogni singola opera, trattandosi nella maggior parte dei casi di inediti o di opere dalla limitata fortuna bibliografica. In tal modo è stato possibile montare la parte illustrata con immagini quasi sempre a piena pagina e seguendo pressappoco la stessa disposizione che hanno le opere in mostra. Inoltre, abbiamo voluto dare ai saggi che stanno a monte del catalogo vero e proprio l’aspetto di una narrazione secondo la sequenza cronologica che abbiamo seguito anche nella disposizione delle opere: quindi, uno strumento per il visitatore della mostra, ma anche un testo utile (direi, indispensabile) per chi vorrà affrontare gli stessi argomenti dopo il periodo di apertura della stessa. Il tono comunicativo che tutti noi abbiamo cercato di seguire, diventa quasi prioritario nello scritto di David Parri il quale, sul filo del racconto storico, immagina una vicenda del tempo della guerra legata ad alcuni degli artisti presenti in mostra; in tal modo, compiendo un esperimento narrativo che, oltre ad essere suggestivo, va proprio nella direzione di uno degli obiettivi che ci eravamo prefissi, quello di un coinvolgimento emotivo del visitatore nelle vicende di questi artisti. Nell’ultima parte del catalogo, infine, abbiamo voluto inserire un atlante fotografico che testimoniasse una parte impossibile da esporre in mostra, quella dei cicli di affreschi disseminati in territorio nazionale, che costituiscono una parte fondamentale del loro lavoro.
Quali sono le novità più significative emerse nella ricostruzione delle varie vicende degli artisti esposti in mostra?
Quasi ogni sezione, quasi ogni opera rappresenta una novità, in maniera grande o piccola, in maniera più o meno evidente, per cui sarebbe difficile rispondere a questa domanda in maniera sintetica. Un aspetto, però, che consideriamo caratterizzante della mostra è aver provato a contestualizzare le vicende di questo gruppo di artisti empolesi, aver cercato di inserirle in un discorso più generale che toccasse la felice stagione fiorentina degli anni venti e trenta come le grandi esposizioni nazionali, il tempo drammatico della guerra e le nuove esigenze figurative che si imposero negli anni successivi. La storia dei nostri pittori è una parte di questa storia maggiore, ma una parte che ci consegna le proprie risposte, risposte fatte di accensioni emotive, di soluzioni figurative, di ingenuità e di consapevolezza, ma sempre percorse da una poesia naturale e spontanea.
Roberto Longhi sarebbe stato felice di una simile iniziativa espositiva: rare sono ormai le mostre che lui definiva “di ricognizione” locale o regionale. Come si colloca dunque la Provincia empolese nel panorama artistico del Novecento?
Questo dovranno dirlo i visitatori e gli storici dell’arte che, speriamo, verranno a visitare la mostra. Ci lusinga molto l’accostamento al più grande di loro e il suo supposto apprezzamento. La nostra non è stata un’iniziativa molto pensata a tavolino: possiamo dire, senza timore di essere accusati di eccessiva improvvisazione, che ci siamo impegnati in una operazione di cui avvertivamo forte la necessità e l’urgenza civica, e che tale impegno non è stato da noi recepito, quasi mai, come faticoso, anche quando si è trattato di fare il giro dell’Italia settentrionale alla ricerca degli eredi dei nostri pittori. L’entusiasmo e la passione con cui abbiamo lavorato sono per noi già state molto appaganti; più ancora lo sarebbe accorgersi che questo sforzo possa produrre dei frutti duraturi in termini culturali, che vuol dire in termini di memoria, di consapevolezza, di necessità della vita interiore di ciascuno di noi.
