«Onorevole e antico cittadino di Firenze». Il Bargello per Dante 22 Marzo 2021 – Edito in: Parola d'autore – Autore: Maria Cecilia Del Freo
Il titolo della mostra riprende nella prima parte una citazione dalla Nuova cronica di Giovanni Villani, mentre la seconda mette in luce il legame tra Dante e il Bargello. Come mai questa scelta e in che relazione sono questi due elementi?
A Villani si deve la prima “Vita” di Dante, inserita nella sua Cronica nel punto in cui si narrano i fatti del 1321. Vita introdotta dalle parole che danno il titolo a questa mostra («Questo Dante fue onorevole e antico cittadino di Firenze») e che obbligano a domandarsi come è stato possibile che, una decina di anni dopo la sua morte, questo «antico cittadino», colpito da una condanna capitale e costretto all’esilio, sia stato riammesso a Firenze come «onorevole». Le parole di Villani sono solo un episodio di una vicenda più complessa che si snoda tra il 1325 e il 1350 circa e che, semplificando, possiamo definire come il tentativo (riuscito) da parte di Firenze di far di nuovo “suo” Dante, di riappropriarsi dell’autore di un poema che si imponeva ovunque con la sua forza immaginifica, ma che qui godeva del vantaggio di parlare una lingua non solo perfettamente compresa, ma della cui fiorentinità nessuno poteva dubitare. La mostra vuole illustrare le tappe di questo percorso, di cui sono protagonisti prima di tutto i lettori comuni, che si accalcano alle botteghe dei librai per accaparrarsi una copia del poema per cui viene perfezionato un particolare modello di libro in cui sono all’opera copisti specializzati e miniatori che hanno una sorta di monopolio sulla decorazione della Commedia. Accanto a loro ci sono gli interpreti della parola di Dante, che spesso condividono un repertorio di letture comuni, testi classici e medievali che sanno abilmente mettere a frutto nell’esegesi della Commedia; non è poi un caso che questi commentatori citino i testi classici tradotti in volgare, cioè in quell’idioma fiorentino di cui proprio Dante aveva mostrato le enormi possibilità espressive. Sono anche esegeti che hanno potuto incontrare il poeta, che hanno potuto interrogarlo circa il significato di alcuni passi della sua opera (come si legge nell’Ottimo commento) e che ci consegnano così i frammenti, altrimenti per noi irrecuperabili, di un mondo che ancora oggi segna la nostra modalità di leggere il poema, nonostante esso sia stato in gran parte spazzato via dalla peste del 1348. Che poi la mostra si svolga al Bargello, ai tempi di Dante il Palazzo del Podestà, non è privo di significato né casuale. Dante ha ricevuto in questo palazzo la condanna prima all’esilio, poi a morte (10 marzo 1302). Ma il luogo travalica di molto la vicenda strettamente biografica e si impone per il suo valore simbolico. In un modo che oggi appare sorprendente, e che infatti ha suscitato un ampio dibattito, Giotto, affrescando con la sua bottega la cappella del Palazzo, include Dante tra le schiere degli eletti nel Paradiso, caratterizzandolo con attributi che ne definiscono la natura di poeta. Ma la poesia di Dante permea in modo più profondo questo ciclo fiorentino: sulla controfacciata della Cappella, entro la composizione monumentale dell’Inferno, l’enorme figura di Lucifero e quelle dei giganti ai suoi piedi traducono l’Inferno dantesco, indicando un riconoscimento dell’autorevolezza della Commedia complementare alla raffigurazione del poeta tra gli spiriti eletti. Come si è potuto appurare in occasione di questa mostra, i lavori erano cominciati fin dal 1333. In questo ciclo, finora tenuto ai margini degli studi giotteschi perché ritenuto interamente eseguito dopo la morte del maestro l’8 gennaio 1337, si cela invece il suo ultimo lascito straordinario.
Nella vostra introduzione spiegate come la mostra sia dedicata alla ricostruzione del rapporto tra Dante e Firenze definendolo «una vicenda che, circoscritta in un arco di tempo limitato e in uno spazio cittadino, assume un’importanza che va ben oltre questi confini, investendo in modo indelebile la storia della fortuna di Dante, con ricadute decisive per la storia della letteratura e della cultura italiana», che cosa significa esattamente?
Da sempre lo studio di Dante affascina e muove emozioni che spesso si sono incanalate anche in rivendicazioni di tipo municipale: diversi luoghi d’Italia, in modi differenti, si sono adoperati (e si adoperano) per rivendicare a sé un frammento di Dante, della sua vita e della sua poesia. L’arco cronologico (circa un trentennio) e la determinazione entro i confini di un esiguo spazio urbano (la Firenze comunale) potrebbero dare l’impressione che anche la prospettiva assunta dalla nostra mostra possa ricadere entro quest’ottica un po’ angusta, troppo municipale. Le cose al contrario non stanno affatto così. Quanto avviene nella Firenze di quegli anni ha infatti una ricaduta decisiva sui secoli successivi: se noi oggi leggiamo la Commedia in un certo modo, con una certa attenzione alla lingua di cui riconosciamo a Dante il ruolo di padre, avendo nella memoria la celebre espressione delle “tre corone fiorentine” (Dante, Petrarca, Boccaccio), è perché la fortuna di Dante presenta fin dall’inizio determinate caratteristiche. E queste caratteristiche maturano a Firenze, irradiandosi nel resto della penisola, dove già si leggeva Dante, ma senza che tale lettura potesse trasformarsi in un modello da esportare nell’intero Paese. Ecco perché la nascita della grande fortuna di Dante, avvenuta entro le mura della città che pure l’aveva condannato all’esilio e a morte, ha ricadute decisive per la storia della letteratura e della cultura italiana.
La mostra nasce dopo una preparazione di tre anni che ha visto la collaborazione dei Musei del Bargello con l’Università di Firenze, nello specifico con i Dipartimenti di Lettere e Filosofia (DILEF) e di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo (SAGAS). Che significato ha, e quali benefici apporta, questa sinergia?
Una delle caratteristiche fondamentali della modalità con cui la Firenze del Trecento si riappropria di Dante è la collaborazione intensa tra professionisti depositari di saperi diversi: copisti, miniatori, volgarizzatori, esegeti che si incontrano, si scontrano, dialogano e anche dissentono intorno alla Commedia. Ora, proprio guardando a questa sinergia, piace ricordare che questa mostra, preparata ed elaborata nel corso degli ultimi tre anni, è il frutto di ricerche condotte nell’arco di due decenni. Queste ricerche si sono indirizzate soprattutto verso due aspetti particolari: da una parte la tradizione materiale delle opere di Dante, dall’altra i modi con cui la Commedia è stata interpretata e compresa dai suoi primi lettori. L’approfondimento di questi aspetti ha necessariamente portato alla collaborazione e al confronto studiosi di discipline diverse: filologi, storici dell’arte e della miniatura, paleografi e codicologi, storici della lingua e storici del Medioevo. La narrazione polifonica che ne risulta non è dunque solo il punto d’arrivo di una pluralità di approcci a un comune ambito di ricerca, ma è un requisito che abbiamo programmaticamente ricercato fin dal principio. Siamo convinti infatti che solo la relazione profonda di punti di vista e metodologie differenti può aiutare a comprendere ciò che per sua natura è articolato e complesso: non solo perché lontano nel tempo, ma perché proprio delle cose umane.