Alla riscoperta di Ognissanti e della sua intrigante storia 19 Marzo 2019 – Edito in: Parola d'autore – Autore: Francesca Mazzotta
Una chiesa, quella di Ognissanti, dove si sono incrociate le esistenze e genialità di artisti come Giotto, Ghirlandaio, Botticelli, Ligozzi, Dandini. Una chiesa dalla storia misteriosa e complessa, che solo oggi si tenta di ripercorrere seriamente e dall’inizio. La voce del curatore del volume Riccardo Spinelli ci racconta lo stimolante percorso che ha portato alla nascita del primo studio approfondito sull’argomento, ovvero del primo atto di coraggio intellettivo volto ad affrontare un tassello fondamentale della storia dell’arte.
Se dovesse darne una sintesi estrema, come riassumerebbe in tre punti sostanziali quel che ha significato per lei partecipare in maniera decisiva alla nascita di questo volume sulla storia di Ognissanti?
Felice condivisione d’un progetto di ricerca e scrittura con gli altri autori del libro; soddisfazione nel vedere “rinascere” alla conoscenza (non solo specialistica) un complesso sacro nodale nella storia fiorentina; in conclusione, verifica delle potenzialità della ricerca d’archivio come quella storiografica, capaci di rivelare, sempre e comunque, nuove prospettive di conoscenza.
Si ritiene che uno degli “scoop” più sorprendenti del vostro lavoro abbia a che fare con un’attribuzione avanzata da Sonia Chiodo, secondo la quale le decorazioni nel sottotetto della chiesa sarebbero riconducibili nientemeno che alla mano di Giotto. Immaginando che tale tesi sia convalidata: che valore ha agli occhi di uno storico dell’arte una scoperta simile? Cosa comporta nel suo campo, sia in una prospettiva diacronica (per quanto riguarda lo stato dell’arte) che in una prospettiva sincronica?
Le considerazioni fatte da Sonia Chiodo, lucidamente articolate per l’assegnazione a Giotto del progetto dei decori parietali, visibili al disopra della stuoia settecentesca che nasconde le capriate lignee, confermano il ruolo capitale svolto dal maestro all’interno del cantiere di Ognissanti, nel quale le fonti ricordano ben quattro opere: La Maestà oggi agli Uffizi, la Dormitio Virginis a Berlino, la monumentale Croce visibile in chiesa, nella cappella Gucci-Dini, gli affreschi (distrutti) della cappella sinistra alla maggiore, configurando la chiesa quale luogo privilegiato d’attività del pittore. Inoltre, quanto rimane dei decori rafforza l’idea d’un Giotto grande innovatore nell’articolazione modernissima dello spazio, confermando la sua vocazione all’architettura (in questo caso dipinta) a date ben precoci, di poco successive a quanto manifestato nella basilica superiore d’Assisi.
Ma nel volume non mancano tuttavia altri scoop: direi la lettura attenta della genesi architettonica del complesso che ha compreso anche la parte preponderante del convento, oggi occupata dalla caserma Carlo Corsi dell’Arma dei Carabinieri, interdetta al pubblico; l’avere accertato la committenza granducale (e il disegno a Nigetti) di due importanti altari posti affrontati in testa alla navata, subito prima di salire il presbiterio; l’analisi delle numerosissime compagnie laicali operanti nel perimetro conventuale come in chiesa, responsabili di tanti decori; lo sguardo più attento a quei fenomeni figurativi che dalla fine del Cinquecento hanno modificato l’aspetto dell’edificio, facendone un “manuale” delle tante voci della pittura (e scultura) fiorentina che dalla prima “maniera” – per capirsi, da Rosso Fiorentino – arrivano ai giorni nostri, non privilegiando l’alta epoca a danno dei secoli successivi ma conferendo ad ogni manifestazione figurativa identica dignità.
Nel volume si afferma come un tratto distintivo delle vicissitudini che hanno eterogeneamente coinvolto Ognissanti vi sia una chiave di volta fondamentale: il passaggio di proprietà dalla congregazione degli Umiliati a quella dei Francescani. Cos’ha significato secondo lei questa consegna del testimone? In che modo e dove oggi se ne possono cogliere e apprezzare più profondamente i segni? A questo proposito un’altra curiosità che senza dubbio avvalora l’importanza storica della chiesa di Ognissanti è la notizia che in essa è stato ospitato, fino a pochi anni fa, il saio di San Francesco. Ci sa fornire qualche dettaglio in più o raccontarci a modo suo questa faccenda?
Il passaggio della chiesa ai francescani ne ha voluto dire nuova vita, sia sul piano sociale (considerato che l’edificio si trova in un quartiere allora molto popolare) sia figurativo. Se si escludono alcune prestigiosissime “reliquie” del tempo degli Umiliati (appunto le opere di Giotto, Botticelli, Ghirlandaio, per citare i maggiori), gli attuali decori della chiesa e del chiostro, dipinti come scolpiti, appartengono massimamente al tempo francescano e su quest’ordine mendicante, sulle sue caratteristiche ed esigenze teologiche e di culto sono spesso modulati, come provano le dotte simbologie di molte delle pale che decorano gli altari o le lunette dipinte nel citato chiostro “grande”.
La reliquia del saio di Francesco, venuta da San Salvatore al Monte, rese la chiesa luogo di pellegrinaggio e devozione non solo cittadine: lo spettacolare altare maggiore (e la relativa cappella) nacque proprio con la funzione di raffinato reliquario (preziosissimo negli intarsi di pietre dure) conservando, in un suggestivo vano interno, la cassa con l’abito del santo fondatore, quello che il Poverello indossava al tempo in cui ricevette, a La Verna, le Sacre Stimmate.
Relativamente all’età ottocentesca si parla in generale di un “ritorno all’ordine” stilistico che, per così dire, avrebbe incarnato la volontà di riportare in vita lo stile neogotico, epurando l’opera d’arte da quelle contaminazioni barocche che ne avrebbero minato la purezza. Ammesso che ne riguardi il caso, come si applica secondo lei tale questione al percorso evolutivo della chiesa di Ognissanti?
Fortunatamente questa sciagurata iniziativa (che ha fatto vittime illustri, distruggendo in Toscana, come altrove, complessi architettonici di capitale importanza per quel lungo periodo della storia figurativa, ciecamente negletto, compreso tra gli inizi del XVII secolo e tutto il XVIII) non ha avuto esiti in Ognissanti. Alcuni guasti e relative perdite sono risultati “inevitabili” in conseguenza delle numerose trasformazioni che hanno, negli anni, interessato l’aula sacra come la parte conventuale, ma si può affermare che l’edifico è giunto a noi sostanzialmente integro, frutto di progressive modifiche dettate dal trascorrere del tempo, peculiari d’ogni complesso storico. Anche gli interventi otto-novecenteschi, di notevole livello e sconosciuti ai più, sono avvenuti con discrezione (si veda il solenne affresco nella parete di fondo del coro dei frati con la Cacciata dei mercanti dal Tempio dovuto al pennello del Martellini) e spesso nel rispetto delle strutture antiche (mi riferisco agli affreschi neogotici di Renato Crisci della cappella Gucci-Dini) o edificando vani dedicati quali l’elegantissima cappella eretta in memoria di Carolina Murat Bonaparte. E anche il fonte battesimale visibile nella navata sinistra, all’altare della Trinità, lì collocato nel 1950, s’armonizza perfettamente, nella pietra utilizzata come nella figurina del Battista (neocinquecentesca) con il contesto nel quale viene a trovarsi.
Un’ultima domanda, in conclusione, inerente al suo percorso. Lei insegna storia dell’arte ai ragazzi in un istituto d’arte qui a Firenze. Come si conciliano a suo avviso il mestiere dell’insegnante e quello del ricercatore e dello studioso? Ovvero l’arte insegnata e quella recepita? Si tratta di un dialogo pacifico o tormentato?
Dialogo pacifico e fecondissimo, per quanto riguarda me e i miei studenti (questo anche per loro ammissione!): la ricerca e la scrittura tengono allenato il cervello e lo scambio con i ragazzi è continuo, spesso fatto di veloci presentazioni di quanto vado ad analizzare o scoprire con le indagini d’archivio che scatenano una coinvolgente empatia. La mia attività di studioso e autore di storia dell’arte (che ha girato la boa dei quarant’anni) non è mai stata di freno a quella di didatta, anzi l’ha nutrita e la nutre continuamente. Per rimanere al volume su Ognissanti di cui si parla, è stato ben gratificante, un sabato pomeriggio e su loro richiesta, portare un’intera classe (una V) in chiesa e nel chiostro a vedere dal vivo, commentare, criticare, apprezzare o meno quanto, nel corso dei mesi di preparazione del volume, m’era capitato di sottoporre alla loro famelica curiosità.